Daniela Paganelli
Quel che stupisce in Francesca Soriani, autrice poco più che trentenne, è l’intensità e la profondità delle emozioni, espresse nei pochi versi di ogni sua singola lirica. Attesa, incertezza, stupore, speranza, delusione… tutto trova spazio nelle sue poesie:
Inchiodata sul pianerottolo,
sperimento il senso
di verticalità di un quadro
che oscilla alla parete.
Davanti alle scale
Nata a Ferrara, Francesca Soriani porta nelle sue poesie l’ironia e l’autoironia di un Ariosto, o l’atmosfera rarefatta di un De Chirico:
Consegno a un ignaro passante
l’eco del sorriso precedente
che ancora mi svia.
Che bella coppia…
che non siamo.
Viavai
Poso gli occhi sull’ambiente
circostante e gli rivolgo
solo sguardi di circostanza.
Registro a grandi linee
i contorni, quel tanto che basta
per non inciampare nel trattino
fra paesaggio e stato d’animo.
Fuori luogo
Non mancano testi destinati a un lettore colto e magari autocompiaciuto, come il precedente o come Ad rivum eundem, e non mancano poesie che testimoniano di una singolare capacità di manipolare argutamente e smaliziatamente la lingua:
Ho fatto mente globale
per capire il locale.
Ho fatto mente locale
per capire il globale.
Ho fatto mente glocale
per capire me stessa,
ma non mi sono sentita
compresa, solo compressa
da mandar giù appena sveglia.
Risveglio
Forse un po’ troppo autoreferenziale, in un approccio alla poesia come scoperta e confessione di sé, Francesca Soriani regala comunque versi di sorprendente bellezza, mai però svenevoli perché bilanciati da un lessico acuminato e imprevedibile:
Cede la planimetria
dello sguardo e plana
nella notte,
agli angoli della bocca.
Il bacio
Insomma, non (ancora) una Wisława Szymborska, anche se proprio con la poetessa polacca Francesca Soriani condivide l’attenzione alle piccole realtà quotidiane, a quel microcosmo (specchio del macrocosmo) in cui ognuno può riconoscersi:
In coda alla cassa mi sento sempre fuori posto.
Tutti gli altri clienti in fila sono sicuri di sé,
cioè hanno a portata di mano
portafoglio, contanti, tessera del negozio,
ricevute vecchie per cambiare un prodotto
acquistato in precedenza, le borse piene
di tasche programmate razionalmente
e i capelli dove devono stare,
risoluti e ordinati, mai scompigliati.
Io, anche se mi preparo per tempo,
risulto sempre impreparata:
non trovo mai niente, non so fare i calcoli
e mi perdo nella ricerca dell’impercettibile
monetina da un centesimo
che pensavo di avere proprio lì,
in quel punto, dietro a quella cerniera.
Avrei bisogno di un attaccapanni
per appendere giubbotto e sciarpa,
di un tavolino per appoggiare le sporte,
di una parrucchiera armata di pettine
per sciogliere tutti i miei nodi
nel momento della stampa dello scontrino.
Così sarei più tranquilla, forse.
Alla cassa
Forse. Che bella, bellissima parola.