Autore: le partage revue

Un caso di promozione territoriale: la mostra permanente Mode e modi di donne

MARIA ROSARIA PAGNANI

In seno al  webinar su piattaforma Google Meet, “Natura, cultura e comunicazione ecosostenibile. Quali nuovi scenari?”, ideato e promosso da Lucia Gangale, giornalista, saggista, docente ordinaria di storia e filosofia e direttore responsabile della rivista Reportages Storia & Società, un incontro è stato riservato alla mia mostra il 13 marzo. Il titolo :

 “Un caso di promozione territoriale: la mostra permanente: Mode e modi di donne” .

Dopo i  doverosi saluti e ringraziamenti iniziali, ho precisato che la mostra si distingue da altre collezioni del genere,  per il suo accogliere oggetti provenienti da molti paesi italiani e stranieri, per essere specchio del mondo borghese e di quello contadino e per comprendere non copie, ma capi originali e preziosi, per comprendere migliaia di oggetti che raccontano la storia delle donne. Ho, poi  risposto alle domande che, di solito, mi pongono coloro che si avvicinano alle bacheche, a me destinate nel corridoio degli Uffici Comunali a Buccino.

Perché a Buccino? A parte i motivi personali che mi hanno spinto a cercare ospitalità, credo che Buccino sia destinato ad avere un Museo delle donne, per il suo passato. Da sempre, personaggi femminili hanno scritto interessanti pagine  di storie. Mi piace citare alcuni nomi a testimoniare quanto anche le donne abbiano contribuito  nel percorso storico del nostro paese.

Basti pensare alla ricca volceiana che, sua pecunia, fece costruire le gradinate del teatro, di cui si è persa l’unica prova della sua esistenza. La sacerdotessa  degli ori con il suo ricco e prezioso corredo funebre. Bruzia Crispina, figlia del console volceiano Caio Bruzio Presente, che nel II secolo. d. C. andò sposa all’imperatore Commodo. Ippolita D’Alemagna che ci accoglie all’ingresso dell’antico convento agostiniano, con i chiari simboli di generosità e femminilità. Inguliata, moglie del giudice Roberto da Palermo, che nel 1326 permutando un terreno disboscato alla Fonte del Ceraso, con settantanove suini, iniziò la sua attività imprenditoriale.Fra le centinaia di regesti, coevi o più tardi, di tutta la provincia, non ho mai incontrato una donna che avviasse una qualsiasi impresa.

E che dire delle donne che hanno abitato il palazzo ducale dal 1600 in poi? Margherita Colonna, prima moglie di Francesco II Caracciolo, apparteneva ad una delle famiglie più importanti a livello europeo, imparentata con nobili e papi. La seconda moglie di Francesco, Beatrice Caracciolo, brigò per riaprire il convento agostiniano e da sola, in assenza del marito, domò una rivolta popolare. Sempre al Palazzo,  nacque Teodora Costanza Caracciolo che vestì l’abito religioso delle domenicane e, morta appena ventenne, viene ricordata a Martina Franca per alcuni miracoli.* Fino ad arrivare a Flaminia Bosco Fonseca Pimentel donna di grande cultura, musicista, poetessa, pittrice. E allora, parafrasando la Cité  des dames di Christine de Pizan, mi va di ribattezzare l’ager volceianus in ager mulierum, in omaggio anche alle  tante donne sconosciute e sommerse, ma ugualmente portatrici di forza e di coraggio.

Il posto ideale per la mia mostra è proprio accanto al Museo archeologico, al quale essa è legata dalla coerenza. Il Museo Archeologico , si distingue per il gran numero di tombe femminili,  tanto che il suo logo è l’antefissa gorgonica, situata sul tempio che sorgeva nella zona della tomba degli ori. Tanti sono i reperti che parlano di donne artigiane, come i pesi da telaio, le fusaiole,  le vasche per la lavorazione della lana di Ricigliano, uno dei paesi dell’ager.

La mostra non deve essere isolata dal contesto sociale e culturale,  ma deve vivere e molto si può organizzare intorno a questa insula al femminile: laboratori,  momenti convegnistici, presentazioni di libri, gemellaggi con scuole di ricamo e musei della moda,  stage con scuole ad indirizzo moda, sfilate di abiti, di collezioni a tema.

Personalmente sono convinta che la mostra “Mode e modi di donne” come detta il titolo del webinar, sia un momento  di promozione turistica e culturale. Momento ricco di emozionalità, intorno al quale si ricorda, si apprende, si progetta. Occorre  che ne sia convinta anche la comunità dell’ager mulierum, e che partecipi alla sua esistenza e alla sua crescita con lo stesso amore che mi accompagna da oltre trenta anni nella ricerca, prima, e nella custodia ,poi  della “mia” collezione.

È chiedere troppo?

Angela Campanella ha riportato in italiano moderno un saggio del gesuita Andrea Vittorelli che narra la storia di Teodora  Costanza Caracciolo, nata a Buccino nel 1721 e morta a Martina nel 1740.

La giovane visse a Buccino fino all’età di tre anni e, poi, si trasferì in Puglia.  Prese i voti, condusse un vita dedicata alla Chiesa e alle opere di bene. Per lei si è avviato un processo di beatificazione per i miracoli che si narrano in terra di Martina.

  • Ha partecipato al webinar, come ospite, anche Angela Campanella, docente barese dai molteplici interessi e dalla grande cultura che spazia dalla storia alla musica alle scienze matematiche, alla saggistica, alla produzione cinematografica.

Francesca Soriani, C’è una scala in un gradino, 2023, TEMPERINO ROSSO EDIZIONI

Daniela Paganelli

Quel che stupisce in Francesca Soriani, autrice poco più che trentenne, è  l’intensità e la profondità delle emozioni, espresse nei pochi versi di ogni sua singola lirica. Attesa, incertezza, stupore, speranza, delusione… tutto trova spazio nelle sue poesie:

              Inchiodata sul pianerottolo,

              sperimento il senso

              di verticalità di un quadro

              che oscilla alla parete.

                                          Davanti alle scale

Nata a Ferrara, Francesca Soriani porta nelle sue poesie l’ironia e l’autoironia di un Ariosto, o l’atmosfera rarefatta di un De Chirico:

              Consegno a un ignaro passante

              l’eco del sorriso precedente

              che ancora mi svia.                                                                                                             

              Che bella coppia…                                                                                                 

              che non siamo.                                                                                                    

                                          Viavai                                                                                                           

              Poso gli occhi sull’ambiente

              circostante e gli rivolgo

              solo sguardi di circostanza.

              Registro a grandi linee

              i contorni, quel tanto che basta

              per non inciampare nel trattino

              fra paesaggio e stato d’animo.

                                          Fuori luogo

Non mancano testi destinati a un lettore colto e magari autocompiaciuto, come il precedente o come Ad rivum eundem, e non mancano poesie che testimoniano di una singolare capacità di manipolare argutamente e smaliziatamente la lingua:

              Ho fatto mente globale

              per capire il locale.

              Ho fatto mente locale

              per capire il globale.

              Ho fatto mente glocale

              per capire me stessa,

              ma non mi sono sentita

              compresa, solo compressa

              da mandar giù appena sveglia.

                                          Risveglio

Forse un po’ troppo autoreferenziale, in un approccio alla poesia come scoperta e confessione di sé, Francesca Soriani regala comunque versi di sorprendente bellezza, mai però svenevoli perché bilanciati da un lessico acuminato e imprevedibile:

              Cede la planimetria

              dello sguardo e plana

              nella notte,

              agli angoli della bocca.

                                          Il bacio

Insomma, non (ancora) una Wisława Szymborska, anche se proprio con la poetessa polacca Francesca Soriani condivide l’attenzione alle piccole realtà quotidiane, a quel microcosmo (specchio del macrocosmo) in cui ognuno può riconoscersi:

              In coda alla cassa mi sento sempre fuori posto.

              Tutti gli altri clienti in fila sono sicuri di sé,

              cioè hanno a portata di mano

              portafoglio, contanti, tessera del negozio,

              ricevute vecchie per cambiare un prodotto

              acquistato in precedenza, le borse piene

              di tasche programmate razionalmente

              e i capelli dove devono stare,

              risoluti e ordinati, mai scompigliati.

              Io, anche se mi preparo per tempo,

              risulto sempre impreparata:

              non trovo mai niente, non so fare i calcoli

               e mi perdo nella ricerca dell’impercettibile

              monetina da un centesimo

              che pensavo di avere proprio lì,

              in quel punto, dietro a quella cerniera.

              Avrei bisogno di un attaccapanni

              per appendere giubbotto e sciarpa,

              di un tavolino per appoggiare le sporte,

              di una parrucchiera armata di pettine

              per sciogliere tutti i miei nodi

              nel momento della stampa dello scontrino.

              Così sarei più tranquilla, forse.

                                                        Alla cassa

Forse. Che bella, bellissima parola.

La storia sconosciuta di Adelaide Modena, profuga di guerra dal Friuli alla Puglia

Contessa di antico lignaggio, come tante persone di ogni condizione sociale della sua epoca, fu colpita da provvedimento di internamento durante la prima guerra mondiale. Oggi riposa nel cimitero di Celle di San Vito, la piccola località della Puglia dalla quale non fece più ritorno.

Lucia Gangale

Quella del profugato venne considerata una faccenda privata, soggettiva, come se
fosse naturale che le spalle femminili dovessero portare un tale peso senza
nemmeno il diritto che fosse ricordato, che entrasse ufficialmente nella storia.
Luciana Palla, Scritture di donne. La memoria delle profughe trentine nella prima guerra mondiale, DEP, Università Ca’ Foscari di Venezia, 2003

La contessa dimenticata

A Celle di San Vito la conoscono semplicemente come “la principessa”, anche se principessa non era, bensì contessa venuta da famiglia di antica nobiltà e, dopo breve ricerca, ne ho reperito il nome: Adelaide Modena. Nome per esteso: Adelaide Sofia Augusta Modena, nata a Scodovacca, oggi frazione di Cervignano del Friuli, l’11 dicembre 1862, da Giuseppe Antonio e da Luigia Del Ben1; morta a Celle di San Vito (FG), dove era stata internata come profuga di guerra, il 9 marzo del 1916, a soli 54 anni. Vi fu tumulata il giorno successivo e, da allora, nessuno, da queste parti, si era interessato alla sua storia. Finora si sapeva soltanto che ell aveva donato dei terreni alla collettività di Celle, ma, dal momento che su questa donazione non è possibile reperire documentazione scritta, è possibile che si tratti di una leggenda paesana.

Adelaide era la quarta di sette figli. Prima di lei c’erano Erminia, Maria Carolina, Alfredo Carlo. Dopo di lei c’erano Teresa Enrica, Adalberto Marco e Alice Maria.

La professoressa Luisa Esempio, nipote di Corinna Modena (di cui parleremo più avanti), a sua volta nipote di Adelaide (in quanto figlia di suo fratello Adalberto e di Paolina Gratton), ha riferito a chi scrive quanto segue: «Mia nonna Corinna mi parlava sempre di Adelaide internata nel Sud Italia. Questa storia ancora oggi i commuove e ci ho sempre pensato. Mia zia mi raccontava che Adelaide fu portata via dagli italiani nel cuore della notte con la sola camicia da notte addosso. Durante il viaggio, comprò degli orecchini di corallo da una persona, forse una donna, il che significa che aveva portato un po’ di soldi con sé. Pensi che questi orecchini sono la sola eredità di Adelaide ed io poi li ho fatti trasformare in un anello, che ancora oggi conservo con particolare affetto»2.

Adelaide era stata internata lontana dalla sua terra, in quanto moglie di un generale austriaco e quindi vittima, come tanti civili, della legislazione speciale di guerra, alla quale ricorsero tutti i paesi belligeranti, che, allo scoppio del conflitto, chiusero le frontiere ed espulsero o internarono tutti i cittadini degli Stati nemici.

Grazie alla genericità delle motivazioni e alla inesistenza di procedure burocratiche, l’internamento e il confino furono il principale e più arbitrario strumento di repressione del dissenso politico-sociale. Più in generale, non necessitando di un fondamento nei fatti, furono strumento ineguagliabile di intimidazione, per bloccare qualsiasi espressione o comportamento non consone alla linea ufficiale e per istaurare un clima di perenne apprensione, onde l’individuo venisse portato a ricercare sicurezza e certezze all’interno delle regole e delle ideologie dominanti. (Giovanna Procacci, L’internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale, in DEP n.5-6 / 2006, pag. 66)

Adelaide Modena ebbe la sorte di nascere in un territorio conteso da italiani ed austriaci. Essendo la famiglia Modena di sentimenti filoasburgici, fu ritenuta una persona da eliminare.

La casa antica dei Modena a Scodovacca, in località chiamata Luc Brusât, dove ha vissuto Adelaide Modena (foto di Adriana Miceu).

Il campo di studi sugli internati di guerra è relativamente recente. Ancora più recenti sono gli studi che riguardano le donne internate, le cui storie non hanno a lungo fatto parte della storia ufficiale. Il primo ad avere aperto la strada a questo filone di indagine è stato Camillo Medeot (San Lorenzo Isontino, 25 luglio 1900 – Gorizia, 6 agosto 1983), politico e storico italiano di area cattolica3. Sui libri scolastici di ieri e di oggi il tema non viene neppure sfiorato. Mentre invece, a livello universitario, si segnala l’ottimo lavoro che dal 2004 viene condotto dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, che, dal luglio di quell’anno,  produce la rivista scientifica DEP – Deportate, esuli, profughe (disponibile online all’indirizzo: www.unive.it/pag/31776/). Come si legge nella presentazione, la rivista: «Si occupa in particolare della memoria delle donne e dei bambini rinchiusi nei campi di concentramento, della violenza alle donne, offese nella loro femminilità e nella maternità, dello sradicamento, dell’esilio, delle migrazioni da conflitto e dello spostamento forzato da ‘sviluppo’, dello stupro di massa come strumento di espulsione, del genocidio e della snazionalizzazione. DEP verte inoltre sui temi della negazione dei diritti, della resistenza e della disobbedienza all’autorità, della riflessione femminista su guerra e militarismo, nonché dell’aiuto delle donne alle donne».

La storica friulana Adriana Miceu, che ha curato molti lavori di storia locale e che ha molto supportato chi scrive in questa ricerca, afferma una cosa piuttosto interessante, e cioè che da un quarantennio esiste una pubblicistica locale sulla tematica degli internamenti di guerra:

«Da circa quarant’anni nell’ex Friuli austriaco (le cosiddette “terre redente”) sono uscite diverse pubblicazioni che parlano di cose mai raccontate sui libri di Storia e tanto meno sui testi scolastici. In tutti è stato scritto che i popoli oppressi dal governo austro-ungarico attendevano i ‘liberatori’, invece solo una minima parte aspirava a passare sotto l’Italia e precisamente i liberali possidenti. Migliaia di Soldati sono stati fucilati per ordine dei loro comandanti e solo perché si rifiutavano di andare a farsi massacrare sul Carso. Qui, nel castello di Saciletto, esisteva il tribunale supremo di guerra che, dopo un sommario processo, condannava quasi tutti alla fucilazione. Con l’entrata in guerra del 24 maggio 1915 gli Italiani avevano già la lista delle persone da internare. Ma poi se ne sono aggiunte tante da parte di chi aveva dei debiti ai quali faceva comodo segnalare come spie le persone a cui dovevano del denaro che così e ne liberavano»4

In uno degli studi dedicati agli internati in Italia nel corso della prima guerra mondiale è scritto: «Non era nemmeno necessario che sussistessero motivi specifici di sospetto: bastava che le persone fossero ritenute “capaci” di esercitare lo spionaggio, o dimostrassero non solo diffidenza, ma anche semplicemente indifferenza verso il nuovo Stato». (Giovanna Procacci, L’internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale, DEP n.5-6 / 2006, pag. 39).

Matteo Ermacora scrive:

Così come gli uomini, che si distinguevano per una esplicita attività “politica” all’interno di partiti ed istituzioni locali, anche le donne diventarono oggetto dell’azione repressiva militare; in un contesto sconvolto dalla guerra e dalla perdita dei tradizionali punti di riferimento, le donne furono vittime di invidie, rivalità, rancori personali, calunnie; come dimostrano diverse situazioni che si riferiscono al caso Trentino e a quello dell’Isontino, durante il passaggio dall’amministrazione austriaca a quella italiana non pochi delatori si prestarono ad accusare possidenti, negozianti o piccole proprietarie per entrare in possesso di attività e di beni frutto di esperienze migratorie o di attività imprenditoriali avviate nel periodo precedente al conflitto. Altre donne, invece, vennero cautelativamente internate perché occupavano posti di rilievo – maestre, ostesse, albergatrici, levatrici – perché erano in relazione con molte persone e venivano ritenute capaci di attività di propaganda ostile.
Nel 1915 gran parte degli internamenti femminili erano motivati dalla fedeltà alla monarchia asburgica, indicata come “austriacantismo”, e dalle presunte azioni di spionaggio. L’accusa di austriacantismo, piuttosto vaga e generica, colpì mogli, madri o figlie di amministratori, veterinari, medici, gendarmi, guardie di finanza, soldati austriaci, categorie di persone ritenute pericolose dal punto di vista militare o perché contrarie alla causa irredentistica; in virtù di queste relazioni parentali, nelle retrovie anche la presenza delle donne veniva considerata pericolosa. (Ermacora Matteo, Le donne internate in Italia durante la Grande Guerra, in DEP – Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, Università Ca’ Foscari di Venezia, online, n. 7/2007, pag. 5).

Nello studio di Ermacora è documentato che il numero delle donne deportate da Cervignano del Friuli (da cui Scodovacca era separato fino al 1928) fu piuttosto consistente e, inoltre, che le donne erano di qualsiasi età e condizione sociale e professionale. I resoconti parlano di svariate migliaia di persone deportate e internate in posti sperduti del Sud Italia e soprattutto in Sardegna. Tra queste vi erano anche moltissimi preti.

Entrare nella storia di Adelaide Modena, che fu internata per “austriacantismo”, significa entrare in un groviglio di storie di famiglia che sembra inestricabile e sui cui ultimi esiti sembra essere calato un pudico silenzio.

Significa anche esplorare un ambito che molto incuriosisce nelle ricerche sugli internati, e cioè quello delle storie familiari ed anche dei singoli individui, perché proprio da esse si può avere un quadro dettagliato di quel periodo storico, che costituì il precedente preferito del regime fascista, il quale si limitò solo a perfezionarne gli strumenti repressivi adottati5.

Nel caso di Adelaide, la faccenda si complica, perché, per quanto chi scrive abbia cercato, non c’è documentazione scritta del suo passaggio a Celle di San Vito (fatta eccezione per l’atto di morte), dove rimase solo sette mesi, fino ad una morte prematura di cui non conosciamo neppure la causa. Forse inedia? Forse malessere per lo sradicamento subito? Oppure una broncopolmonite, che era uno dei malanni diffusi fra profughi e internati, dato che il luogo dove fu internata è quello più esposto a forti venti del piccolo paesino pugliese ed essa vi passò praticamente tutto l’inverno?

Semplici supposizioni. Del resto, neanche i suoi genitori ebbero una vita lunga, in quanto suo padre morì a sessant’anni, mentre sua madre sessant’anni non arrivò neppure a compierli.

Purtroppo, non abbiamo reperito carte scritte da Adelaide, nemmeno una semplice cartolina o un foglietto recante qualche suo pensiero. Ed inoltre, i successivi lavori di ristrutturazione del castello, in una delle cui cellette dei monaci la donna fu costretta durante l’internamento, hanno presumibilmente fatto sparire tutta la documentazione esistente.

“Domiciliata temporaneamente a Celle San Vito”, come si legge nell’atto di morte conservato nella locale parrocchia di Santa Caterina, essa vi trovò invece la morte. Era stata internata il 24 agosto 1915, prima a Firenze, poi a Lucera ed infine a Celle di San Vito. Suo figlio Augusto Modena, nobile, possidente, commerciante di biciclette era stato internato qualche mese prima, il 7 giugno 1915. Prima a Firenze, poi a Lucera (FG)6. Motivazione: austriacante sospetto e pericoloso. Mentre Augusto riesce ad ottenere il rimpatrio, il 14 marzo 1916, Adelaide non rivedrà mai più il luogo natale, perché muore a Celle qualche giorno prima (come detto, il 9 marzo). Si spegne alle ore 14 in casa, munita del sacramento della confessione7.

Sul suo sepolcro è apposta una lapide con la scritta “Il figlio Augusto pose”.

Dall’atto di morte conservato a Scodovacca, risulta che Adelaide Modena era domiciliata in Via Camillo Bisaccia, 89. Questa è un’informazione preziosa, perché basta fare una rapida ricerca su Google Maps, per individuare il luogo esatto dell’internamento della donna, dal momento che la toponomastica cellese pare non avere subito trasformazioni dal primo Novecento. E così, si scopre che essa alloggiava, come detto, nel castello di Celle, laddove in quella data si trovavano ancora le cellette dei monaci del convento di San Nicola, che poi nel Milleduecento alloggiarono i soldati e le famiglie francoprovenzali al seguito di Carlo I d’Angiò, in lotta con Federico II di Svevia ed i trentamila musulmani da lui portati a vivere nel vicino Castello di Lucera.

Si tratta di una parte del piccolo paesino pugliese particolarmente isolata ed anche esposta a forti venti. Intorno boschi e montagne. Poco distante si vede il vicino comune di Faeto. Adelaide era lì, costretta a vivere isolata nella cella di un ex convento, in una situazione che non avrebbe voluto. Neppure sette mesi dopo, è proprio qui che muore.

Si prova un senso di umana pietà a ripercorrere questa triste vicenda umana, con il carico di solitudine, angoscia, forse malattia, che l’hanno caratterizzata.

Una donna, vittima, come tanti, della follia di guerra dei suoi tempi e dell’amarezza di quei giorni. E, come tante altre donne, dimenticata dalla Storia.

Chi era Adelaide Modena?

Adelaide non fece in tempo a fare ritorno nella sua terra perché la morte la colse a Celle di San Vito.

Scrive Procacci:

«La fine dell’internamento per i regnicoli e per gli irredenti (salvo, in quest’ultimo caso, un diverso giudizio delle autorità di p.s.) venne formalmente dichiarata e comunicata ai prefetti il 19 gennaio 1920, ma solo nell’agosto del 1919, grazie all’intervento di Nitti, divenuto primo ministro, si giunse all’effettivo rimpatrio degli internati. (Procacci, 2006, cit. pag. 65).

Abbiamo già affermato che nell’immaginario collettivo paesano di Celle di San Vito, essa è figura presente, tuttavia a livello storico, prima d’ora, su di lei, da queste parte, non sono mai state effettuate delle ricerche. Della sua storia vi è solo un rapido accenno in un libro autopubblicato di Gabriella Tavano, sostituto procuratore della Repubblica di Bologna, originaria di Celle di San Vito. Il libro si intitola Le lettere di Angela (Edizioni Il mio libro, 2011. Un estratto è su https://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/629636/le-lettere-di-angela_629636):

Ed è vero che a Celle di San Vito, in provincia di Foggia, fu deportata, nel 1915, una donna friulana, che oggi riposa nel piccolo cimitero del paese (pag. 3).

Come fu accolta Adelaide nel piccolo paesino di Celle? Come straniera? Come nemica?

Non lo sappiamo. Forse non lo sapremo mai. Sappiamo, però, per certo, che in quegli anni di violenza molti giovani cellesi partirono dal loro paese per andare a combattere nel Veneto, nel Trentino e nel Friuli e non fecero più ritorno. La retorica del tempo non mancava di circondare tali luttuosi eventi:

I figli del Gargano continueranno a compiere il loro dovere per dimostrare ai sudditi di Casa d’Asburgo che non andò perduto il seme che i nostri eroi del Risorgimento affidarono ai campi di Palestro, di S. Martino, di Solferino, del Volturno, fecondandolo col loro sangue generoso.
Siamo cittadini italiani, gridiamo ai quattro venti, certi che il futuro sarà degno del passato e la stella italiana splenderà anche sulle terre di Trieste e di Trento circonfusa di gloria e di fortuna.
(Da Giovanni Tancredi, “Siamo cittadini italiani”, in Il Gargano e la guerra, Tip. Pesce, Lucera 1916, pag. 56).

Adelaide proveniva da una famiglia di nobili possidenti di origine veneziana che erano conti del feudo di Scodovacca. Nel suo antico passato tale famiglia potrebbe avere origini israelitiche.

Giunta in Friuli in epoca imprecisata, la famiglia Modena si stabilisce a Cividale e si lega alle più importanti casate friulane come Liruti, Panigai e della Torre. È sempre un matrimonio, quello di Francesco con Giovanna Cristomolo, che porta i Modena a Scodovacca di Cervignano (1646) dove nell’arco di breve tempo costituiranno un discreto patrimonio fondiario: ereditate le proprietà di Giorgio Cristomolo e della moglie Vittoria Paganini, gli eredi di Francesco espandono i propri interessi immobiliari sino a Trieste e Capodistria. Il Senato Veneto con decreto 14 marzo 1739 impresse in perpetuità il titolo di conte del feudo di Scodovacca, posseduto dalla famiglia e il 17 marzo stesso ordinò la iscrizione col titolo di Conte nell’A.L.T. del can. Giorgio e di Lunardo, Iseppo, Antonio e Francesco di Nicolò8.

La nipote dell’ultima contessa Modena, Corinna Modena, è la professoressa Ada Zimolo Tavella, la quale ha dedicato un corposo libro di circa cinquecento pagine ai suoi illustri antenati9. In questo libro il racconto si arresta alle soglie del Novecento, quando il legame tra i Modena ed il feudo di Scodovacca si fa sempre più labile (e quando il patrimonio di famiglia è divenuto sempre più esiguo). L’autrice parla di «rispetto dovuto a coloro che ancora vivono nella memoria».

Dal libro di Zimolo Tavella, che ha compiuto delle scrupolose ricerche di archivio, possiamo trarre delle notizie interessanti.

Ella introduce l’albero genealogico della famiglia Modena, dal quale balza subito agli occhi un particolare, e cioè che Adelaide sposò suo zio di primo grado, ovvero il fratello di suo padre. Per tale motivo, il matrimonio fu celebrato con dispensa papale10.

Il matrimonio fu celebrato il 21 novembre 1887. Carlo Augusto Modena, alto e pluridecorato ufficiale dell’Impero asburgico, all’epoca ha 52 anni. Adelaide, possidente, ne ha solo 24.

Sull’atto è specificato che la dispensa è accordata per motivi di consanguineità.

Il matrimonio è celebrato nella chiesa parrocchiale San Marco di Scodovacca.

Dei genitori di Adelaide già si è detto in apertura di questo saggio.

Per quanto riguarda, invece, Carlo Augusto (21 marzo 1835 – 6 dicembre 1903), egli è il quarto e ultimo figlio di Francesco Marco (nato dal terzo matrimonio di Giuseppe), capitano della Guardia Nazionale e possidente (n. 1797) e di Teresa de Rozenweig (morta nel 1865), figlia di Vincenzo, viennese, consigliere del governo austriaco e prefetto a Udine. (Il padre di Adelaide, Giuseppe Antonio, fratello di Carlo Augusto, è invece il secondogenito).

Come scrive Ada Zimolo Tavella nel suo libro11 , mentre in Italia si prepara la terza guerra di indipendenza per liberarsi dal giogo austriaco, Carlo Augusto si trova a Verona, sull’altro fronte, come Imperial Regio Tenente nel Reggimento Cacciatori.

È qui che il 26 marzo 1866 nasce un figlio naturale, Agostino, frutto di una relazione che Carlo Augusto ha avuto con una donna non sposata di nome Bartolomea Vanoni, di Verona. (Dal registro dei morti della parrocchia di Scodovacca si ricava che Agostino è stato legittimato con decreto sovrano il 27 – 5- 1899). Agostino è registrato come “Augusto” dal parroco dell’epoca, don Domenico Plotti. Agostino/Augusto è nato a Scodovacca il 26 marzo 1866 e vi è morto il 10 marzo 1942 (ved. foto in basso della famiglia Modena).

Da tener presente che all’epoca dei fatti da noi esaminati, i nomi delle persone venivano registrati in lingua latina, e quindi la sottile differenza tra “Augustus” e “Augustinus” può avere determinato un errore da parte del parroco. Finita la terza guerra di indipendenza e siglata la pace di Vienna, Carlo Augusto fa ritorno a Scodovacca trionfante e pluridecorato. Ha, tra l’altro, acquistato la prestigiosa onorificenza di Chevalier de l’Ordre de Léopold, ordine belga civile e militare. Nel 1881 il Ministero degli Affari Esteri belga lo indica quale “Officier de S.M. l’Empereur d’Autriche et d’Hongrie.

Peccato che nell’unico libro in cui sia contenuta la storia al completo della famiglia Modena, non si faccia riferimento ad Adelaide.

Nel libro Fratelli d’Italia Gli internamenti degli italiani nelle “terre liberate” durante la grande guerra (2002), alla pagina 156 è riportata in sintesi la testimonianza di Corinna Modena (foto in basso), l’ultima contessa di casa Modena, la quale, l’aveva resa agli autori dalla sua residenza di Palmanova:

Durante la forzata lontananza i terreni, dei quali la famiglia era proprietaria in Scodovacca, rimasero incolti e subirono danneggiamenti d’ogni genere. Quando, nel 1919, fu permesso a Augusto Modena il rimpatrio, questi si impegnò a fondo per il miglioramento (coltura dei fondi in questione, indebitandosi per un’ingente somma di denaro). Due consecutive cattive annate misero però in ginocchio la famiglia, provocandone il declino e la rovina. Il conflitto rappresentò quindi una delle principali cause della decadenza della famiglia Modena, alla quale tra l’altro erano stati sottratti già nei primi giorni di guerra la maggior parte degli averi in termini di mobilio, documenti e bestie da lavoro; la signora Corinna racconta come, in occasione dell’offensiva di Monfalcone, l’intera famiglia dei Modena fu fatta evacuare a Cervignano. Quando fece ritorno presso la propria abitazione la trovò vuota, avendo i militari asportato tutto il mobilio migliore, tutti i documenti ivi custoditi nonché il bestiame lasciato nelle stalle. La contessa Adelaide fu internata, ritenuta austriacante e sospettata di spionaggio, probabilmente perché moglie di un ufficiale austriaco. (Corinna Modena, 2 dicembre 1905-23 agosto 2002 è la zia di Ada Zimolo Tavella, autrice del libro sulla famiglia).

I Modena avevano le loro proprietà soprattutto a Palmanova e a Scodovacca (Luc Brusât, noto come borgo Modena)12. A borgo Modena, la settecentesca villa e l’annesso parco che essi detenevano nella piana rurale di Scodovacca, nei momenti di rovesci di fortuna fu acquistata acquistata all’asta dal barone Antonio Kircher (che i contadini, nei primi tempi, si rifiutarono di riconoscere come nuovo padrone, ragion per cui egli fu costretto a rivolgersi ad un avvocato) e poi passò alla famiglia Chiozza13, imprenditori triestini, che la acquistarono alla metà dell’Ottocento. La villa abitata fu abitata dal grande chimico italiano Luigi Chiozza (Trieste, 1828 – Cervignano del Friuli, 1889), che aveva sposato la figlia di Kircher, Teresa. Egli, per portare avanti le sue ricerche scientifiche, ne adibì alcuni locali a laboratorio. In questa bellissima villa, nel 1870, fu ospite anche lo scienziato francese Louis Pasteur, che il proprietario aveva conosciuto durante i suoi studi all’Ecole de Chimie Pratique di Parigi14. Tutto il terreno che circondava la villa diventò uno splendido parco all’inglese, con delle scelte botaniche legate agli interessi scientifici di Luigi Chiozza (ad esempio il gelseto che gli serviva per gli studi del baco da seta)15.

Durante la Seconda guerra mondiale la villa fu sede del Comando Gruppo Armate dell’Est. Nel 1978 la villa fu acquistata dalla Regione Friuli, ed oggi, insieme al parco, è sede di Turismo FVG16.

I Modena, ormai impoveriti, sono costretti di nuovo a stabilirsi nella vecchia casa a Luc Brusât.

Villa Chiozza racconta storie molto lontane del piccolo paese di Scodovacca, storie che risalgono alla sua fondazione e, inoltre, contiene pochi ritratti che rivelano l’orgoglio di una appartenenza familiare ed il desiderio di tramandarne il ricordo. È conservato il ritratto di Carlo Modena, il marito di Adelaide, il quale, come ricorda Aza Zimolo Tavella nel suo libro17 «non fu tra coloro che combatterono per unificare un paese da secoli oppresso e diviso».

Carlo Augusto Modena si spegne il 6 dicembre 1903 per una infiltrazione cancerosa e, come si evince dall’atto di morte conservato a Scodovacca, egli fu renitente all’estrema unzione.

Una ricerca aperta a nuovi sviluppi

Abbiamo, dunque, parlato della famiglia di Adelaide Modena, ma di lei non possiamo dire altro, perché sul suo vissuto non ci sono riscontri scritti.

Come detto, ella fa parte dello stuolo di donne incolpevolmente dimenticate dalla Storia, di cui, solo in tempi recenti, cominciano ad esserci studi che provengono dall’apertura di archivi pubblici e privati.

Una foto, ormai introvabile, di proprietà di Corinna Modena, pubblicata sul libro di Milocco, immortala Adelaide in un quadro di famiglia: al centro si trova il conte Adalberto Modena (1866-1950). Accanto a lui, con la camicia bianca, c’è Adelaide. A sinistra, la domestica Alba Maschietto,  seconda in prima fila è Paolina Gratton, moglie di Adalberto con davanti i figli Carlo e Corinna. Accanto ad Adelaide si trova sua sorella, Erminia Modena. Dopo numerose ricerche svolte tra i familiari, non siamo riusciti a capire se nella foto appaia anche Agostino/Augusto Modena, visto che si tratta di una antica foto di famiglia.

Il solitario sepolcro che accoglie le sue spoglie a Celle di San Vito ne custodisce il segreto e il riposo. Possibile che questa donna non abbia lasciato testimonianza scritta di sé? Come è stata accolta dalla piccola comunità di Celle? Come è vissuta in quei pochi mesi? Pregava? Si disperava? Si rassegnava? Cosa ha provato? Come è morta? Che fine ha fatto il figlio Augusto, morto a 49 anni (come riportato nel libro Fratelli d’Italia, 2002), che qui pose per lei un monumento funebre di cristiana pietà?

Interrogativi destinati a rimanere inevasi, almeno fino a quando gli accademici ed i ricercatori di storie locali non apriranno tutti gli archivi possibili tra i luoghi dove, in quel folle periodo della storia, la sua presenza errante è stata segnalata, da Firenze a Lucera a Celle di San Vito, sua ultima dimora terrena.

Per questa ragione chiediamo aiuto agli archivisti della provincia di Foggia ed quelli di Firenze, altra città dove Adelaide, come tanti e tanti altri, fu profuga di guerra.

Ma, soprattutto, chiediamo ausilio ai cellesi, che, ancora oggi, professano una rispettosa venerazione per la profuga arrivata qui da tanto lontano, da un mondo ai confini della penisola. Chiediamo loro di scavare nei loro ricordi e cercare nella mente la testimonianza dei loro antenati in merito alla storia della loro “principessa”. Cercare nelle carte e nei documenti di famiglia, se mai dovesse esservi qualche flebile testimonianza del passaggio di Adelaide.

Chiediamo alle Università pugliesi di aprire un filone di ricerca sui profughi e gli internati di guerra in Puglia. Alle biblioteche ed alle emeroteche del territorio di riportare alla luce particolari sulle vicende personali degli internati del ’15-’18.

Chi scrive, termine qui la propria indagine, che getta un piccolo ponte tra due realtà agli estremi opposti dell’Italia, quella friulana e quella foggiana, nella speranza che qualcun altro voglia raccoglierne le indicazioni.

Documenti

Atto di nascita di Adelaide Modena. Sotto, atto di matrimonio tra Carlo Augusto ed Adelaide Modena.

Dal libro “Fratelli d’Italia”

Atto di morte di Adelaide conservato nella parrocchia di Santa Caterina a Celle di San Vito

Atto di morte di Adelaide (anagrafe di Scodovacca)

Atto di morte di Carlo Augusto Modena

Tomba della famiglia Modena a Scodovacca (foto di Adriana Miceu)

Istanza di ritorno a Scodovacca prodotta da Augusto Modena, il figlio di Adelaide (Archivio Centrale dello Stato di Roma).

Atti di morte di Agostino (Augusto) Modena e di Erminia Modena, conservati nell’archivio parrocchiale di Scodovacca.

Archivio Centrale dello Stato di Roma: Istanza di Agostino/Augusto Modena del 1925, con la quale egli chiede alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che sia riconosciuta la patente di nobiltà per sé e per i suoi congiunti. I diritti di cancelleria risultano saldati dal Modena. Forse è un modo che egli ha avuto per preservare la sua proprietà di Scodovacca, devastata durante la Prima Guerra Mondiale.

Ringraziamenti

Sono particolarmente riconoscente per l’aiuto offertomi in questa ricerca a Mariangela Genovese e Stefania Acquaviva dell’Infopoint di Celle di San Vito. A don Luigi Pompa della Parrocchia Santa Caterina di Celle di San Vito. All’Ufficio Anagrafe di Cervignano del Friuli. All’architetto Michele Tomaselli dell’Associazione Cervignano Nostra. Alla storica locale Adriana Miceu, da sempre impegnata nella divulgazione delle memorie della bassa friulana. Al signor Franco Zampar di Cervignano del Friuli. I materiali di questo lavoro provengono da: Archivio Centrale dello Stato di Roma, Arcivescovado di Gorizia, Parrocchia Santa Caterina di Celle di San Vito, Ufficio Anagrafe di Scodovacca. Tutti, enti e privati, mi hanno aiutata in qualche modo. A tutti costoro va il mio più sentito ringraziamento.

Note

  1. Giuseppe Antonio Modena, 1830 – 1890; Maria Luigia Del Ben, 1825 – 1882. Dati tratti dall’albero genealogico di famiglia, in A. Zimolo Tavella, I conti Modena di Cividale e Scodovacca, CopyArt, Pordenone 2007 ↩︎
  2. Testimonianza resa alla scrivente nel corso di una conversazione telefonica svoltasi il 22 ottobre 2023. La professoressa Esempio era particolarmente commossa. Ringrazio per questa segnalazione la storica Adriana Miceu. ↩︎
  3. Tra le sue opere più significative al riguardo: Storie di preti isontini internati nel 1915, Quaderno di “Iniziativa Isontina”, Gorizia 1969;  Due friulani internati (1915-18), La Nuova Base, Udine 1974; Prigionieri friulani a Novi Zavòd, IN LXXI 1979. ↩︎
  4. Testimonianza resa alla scrivente da Adriana Miceu, storica locale. Sul tema delle delazioni legate ai debiti di chi le faceva, esiste anche una letteratura presente nella rivista DEP, prima citata ↩︎
  5. Cfr. Procacci, 2006, cit. pag. 122 ↩︎
  6. La notizia è contenuta nel libro “Fratelli d’Italia”, gli internamenti degli italiani nelle terre liberate durante la grande guerra, di Giorgio e Sara Milocco, Gaspari editore 2002. In detto libro Augusto è presentato come “figliastro” di Adelaide. Si veda anche il sito web: https://tinosgen.com/branches/giovanni-tinos-iv ↩︎
  7. Atto di morte conservato nella Parrocchia di Santa Caterina a Celle di San Vito. Per quanto riguarda Augusto, l’Archivio Centrale dello Stato di Roma contiene il documento del Ministero dell’Interno con la di lui istanza di far ritorno in Scodovacca, dalla città di Lucera in cui si trova internato. Il documento è datato 30 ottobre 1915. L’istanza è stata prodotta dall’interessato la settimana prima ↩︎
  8. Si vedano: V. SPRETI, Enciclopedia storico nobiliare, Bologna, 1969, vol. IV, p. 618; A. MICEU, Famiglie e personaggi illustri di Scodovacca, in “Scodovacca, la sua storia, la sua gente”, Cormons, 2005, p. 199-201 ↩︎
  9. A. Zimolo Tavella, I conti Modena di Cividale e Scodovacca, CopyArt, Pordenone 2007 ↩︎
  10. La presente ricerca si avvale di due formati dell’atto di matrimonio tra Carlo Augusto e Adelaide Modena. Uno proviene dall’Arcivescovado di Gorizia, l’altro dall’anagrafe di Scodovacca ↩︎
  11. I conti Modena di Cividale e Scodovacca, cit. pag. 462. ↩︎
  12. Dove la contessa Isabella Modena, avendo bisogno di denaro, nella prima metà dell’Ottocento fece demolire una chiesetta avuta in eredità, raccogliendo una serie di sfortune per il resto della sua vita. In Cervignano Nostra Rivista di Storia, Arte, Cultura del Territorio a cura dell’Associazione Cervignano Nostra Numero 11, Maggio 2019, pp. 36-38 ↩︎
  13. A. Zimolo Tavella, cit., pag. 461. ↩︎
  14. Villa Chiozza – Un secolo di evoluzione e progresso dell’agricoltura in Friuli-Venezia Giulia, ERSA, Gorizia 1974. ↩︎
  15. Luigi Chiozza acquistò la villa dopo la morte a soli 21 anni della moglie Pisana. Lo scienziato lasciò l’istituto Arti e mestieri di Milano e si trasferì a Scodovacca. Una descrizione del parco di 18 ettari è qui: www.scoprifvg.it/site/parco-di-villa-chiozza/. ↩︎
  16. Cfr. www.sericus.it/luoghi/villa-chiozza/. ↩︎
  17. Cit., 2007, pag. 462. ↩︎

Bibliografia

Caglioti Daniela Luigia, Stranieri nemici: Nazionalismo e politiche di sicurezza in Italia durante la Prima guerra mondiale, Viella Libreria Editrice, Roma 2023.

Ermacora Matteo, Le donne internate in Italia durante la Grande Guerra, in DEP – Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, Università Ca’ Foscari di Venezia, online, n. 7/2007.

Miceu Adriana, Famiglie e personaggi illustri di Scodovacca, in “Scodovacca, la sua storia, la sua gente”, Cormons, 2005, p. 199-201.

Milocco Sara e Giorgio, Fratelli d’Italia Gli internamenti degli italiani nelle “terre liberate” durante la grande guerra, Gaspari Editore, Udine 2002.

Palla Luciana, Scritture di donne. La memoria delle profughe trentine, DEP, Ca’ Foscari di Venezia, n. 1, 2004, pp. 45-52.

Procacci Giovanna, L’internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale, DEP, Ca’ Foscari di Venezia, n.5-6, 2006

Spreti Vittorio, Enciclopedia storico nobiliare, Bologna, 1969, vol. IV, p. 618.

Tancredi Giovanni, “Siamo cittadini italiani”, in Il Gargano e la guerra, Tip. Pesce, Lucera 1916.

Tavano Gabriella, Le lettere di Angela, Il mio libro, 2011.

Zimolo Tavella Ada, I conti Modena di Cividale e Scodovacca, CopyArt, Pordenone 2007.


Critique du livre “Au nome de la Justice” de Lucia Gangale/Recensione al libro

FR. Quelles sont les représentations les plus populaires de la justice dans les arts visuels ? Quelles sont les théories philosophiques les plus populaires liées au concept de société juste ? Comment le sens commun dicte-t-il les choix moraux individuels ?

Dans ce court essai académique, bien articulé, publié par Grin Verlag, Lucia Gangale introduit le lecteur dans un monde de références philosophiques, historiques, poétiques, artistiques, religieuses et même cinématographiques. La justice est, de tout temps, une aspiration humaine forte, car elle représente ce que nous avons de plus cher et de plus proche de notre monde intérieur. C’est ici que la justice se distingue du droit (mot avec lequel elle partage la racine ius, iuris), car le droit est, au contraire, un ensemble de règles valables dans un pays à une période historique donnée.

Le concept de justice apparaît dès les premières réflexions philosophiques, qui veulent que la justice opère au niveau cosmique (Parménide, Héraclite), puis passe dans les réflexions sur l’homme de Socrate, Platon et Aristote. Mais avant cela, les mythes se préoccupaient déjà du problème de la justice.

“La justice n’est pas de ce monde”, s’exclame le pape Pie VII en s’adressant au Marchese del Grillo dans le film éponyme de 1981 réalisé par Mario Monicelli.

Le texte biblique le mentionne cinq cents fois dans la Torah et deux cents fois dans le Nouveau Testament.

Karl Marx parle d’un “tribunal de l’histoire” et Martha Nussbaum a écrit des milliers de pages sur le thème de la justice sociale et de la répartition équitable des ressources.

Les tribunaux des plus grandes villes du monde regorgent de magnifiques représentations de la justice. Des peintres admirables comme Giotto et Léonard de Vinci lui ont consacré des œuvres intemporelles.

La philosophie politique a donné lieu à de vastes réflexions sur le thème de la justice.

L’époque moderne a vu naître le contractualisme, dont les principaux représentants sont Hobbes, Locke et Rousseau. Gangale examine leur pensée mais, pour la première fois dans les études sur le sujet, introduit également l’analyse des penseurs qui se sont opposés aux théories contractualistes : George Hegel, Edith Stein et Martha Nussbaum. L’auteure analyse ensuite les scénarios qui se sont déroulés entre 2020 et 2022, lorsque, dans le cadre de l’urgence Covid, une succession sans précédent de lois et d’états d’urgence a sabordé les droits les plus élémentaires garantis par la Constitution, jusqu’au chantage à la loi pour obliger les citoyens à administrer des vaccins expérimentaux, en assumant personnellement toutes les conséquences négatives possibles (qui, en fait, ont existé et continuent d’exister, sous la forme de maladies irréversibles et de “maladies soudaines”).

De nombreuses références philosophiques continuent d’être présentées par l’auteur : Abélard, Thomas d’Aquin, Kant, Dewey, Bentham et John Stuart Mill, Nietzsche, Rawls et le pape Benoît XVI en font partie (mais ce ne sont que quelques-unes).

La dernière partie du livre est celle où la psychologie et la sociologie font leur entrée dans le domaine de l’éthique et de la justice. Elle traite de sujets tels que : le contrôle social, les regroupements tribaux, l’ordre social, les rituels collectifs, la socialisation, le respect de l’autorité, la discrimination, la pensée unique, la tolérance, les capacités humaines.

En bref, un livre très dense dans sa concision, riche en idées créatives et qui offre des stimuli très intéressants aux spécialistes de la philosophie politique et de la sociologie des masses.

Lien: www.grin.com/document/1372661

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ITA. Quali sono le più diffuse rappresentazioni della giustizia nelle arti visive? Quali le teorie filosofiche più popolari legate al concetto di società giusta? Come il senso comune detta le scelte individuali in ambito morale?

In questo breve e ben articolato saggio accademico pubblicato da Grin Verlag, Lucia Gangale introduce il lettore in un mondo di riferimenti filosofici, storici, poetici, artistici, religiosi e persino cinematografici. La giustizia è, in ogni tempo, una forte aspirazione umana, in quanto essa rappresenta ciò che ci è più caro e più vicino al nostro mondo interiore. È qui che la giustizia si differenzia dal diritto (parola con cui condivide la radice ius, iuris), perché il diritto è, al contrario, un insieme di regole valide in un Paese in un determinato periodo storico.

Il concetto di giustizia appare fin dalle prime riflessioni filosofiche, che vogliono la giustizia operante a livello cosmico (Parmenide, Eraclito), e poi passa nelle riflessioni sull’uomo di Socrate, Platone e Aristotele. Ma già da prima, i miti si sono interessati del problema della giustizia.

«La giustizia non è di questo mondo!», esclama Papa Pio VII rivolgendosi al Marchese del Grillo nell’omonimo film del 1981 diretto da Mario Monicelli.

Il testo biblico menziona cinquecento volte nella Torah e duecento nel Nuovo Testamento.

Karl Marx parla di un “tribunale della storia” e Martha Nussbaum ha scritto migliaia di pagine sul tema della giustizia sociale e dell’equa distribuzione delle risorse.

I Tribunali delle città più importanti del mondo sono pieni di magnifiche rappresentazioni della giustizia. Pittori mirabili come Giotto e Leonardo da Vinci le hanno dedicato opere intramontabili.

La filosofia politica ha dato vita ad ampie riflessioni sul tema della giustizia.

In epoca moderna nasce il contrattualismo, di cui i maggiori esponenti sono Hobbes, Locke e Rousseau. Gangale ne esamina il pensiero, ma, per la prima volta negli studi sull’argomento, introduce anche l’analisi dei pensatori che si oppongono alle teorie contrattualiste: George Hegel, Edith Stein e Martha Nussbaum. L’autrice passa quindi ad analizzare gli scenari che si sono aperti tra il 2020 ed il 2022, quando, in emergenza Covid, si è verificato un inedito susseguirsi di norme di legge e di stati di emergenza che hanno affossato i più elementari diritti garantiti dalla Costituzione, fino ad arrivare al ricatto a mezzo di legge per obbligare i cittadini alla somministrazione di vaccini sperimentali assumendosene in prima persona tutte le eventuali conseguenze negative (che, infatti, ci sono state e che continuano a verificarsi, nella forma di malattie irreversibili e “malori improvvisi”).

Molteplici continuano i riferimenti filosofici presentati dall’autrice: Abelardo, Tommaso d’Aquino, Kant, Dewey, Bentham et John Stuart Mill, Nietzsche, Rawls e Papa Benedetto XVI sono tra questi (ma non sono che alcuni fra i tanti).

L’ultima parte del libro è quella si fanno largo la psicologia e la sociologia nell’ambito dell’etica e della giustizia. In essa sono poste tematiche quali: il controllo sociale, le aggregazioni tribali, l’ordine sociale, i rituali collettivi, la socializzazione, il rispetto dell’autorità, la discriminazione, il pensiero unico, la tolleranza, le capacità umane.

Insomma, un libro molto denso nella sua sinteticità, ricco di spunti creativi e che offre degli stimoli piuttosto interessanti agli studiosi di filosofia politica e di sociologia delle masse.

LINK: www.grin.com/document/1372661

Keywords: justice, contractualisme, ius, droit, societé